TRANSFER PRICING: SPETTA ALL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA PROVARE IL PREZZO INFERIORE AL VALORE NORMALE

Le imprese indipendenti realizzano tra di loro delle transazioni, pattuiscono delle condizioni nei loro rapporti commerciali e finanziari che sono generalmente determinate dalle forze di mercato. Per le imprese associate, i rapporti commerciali e finanziari potrebbero, invece, non essere direttamente influenzati allo stesso modo rispetto alle dinamiche di mercato e quindi risultare inferiori, a prescindere dalla volontà di ottenere un risparmio d’imposta.

La Corte di cassazione con la sentenza n. 15906 dell’8 giugno 2021, conformandosi alla consolidata giurisprudenza, ha ribadito che la disciplina del transfer pricing non integra le caratteristiche di disposizioni antielusive in senso proprio. La valutazione dell’attività di fissazione del prezzo non deve essere confusa con la valutazione dei problemi relativi alla frode o all’elusione fiscale, anche se le politiche in materia di prezzi di trasferimento, così come è emerso in taluni controlli esperiti dall’Amministrazione finanziaria, possono essere utilizzate a tali scopi.

Nei casi in cui i prezzi di trasferimento non riflettano le logiche di mercato, ossia il principio di libera concorrenza, gli obblighi fiscali delle imprese associate e le relative entrate fiscali dei Paesi interessati possono risultare alterati. I membri dell’OCSE hanno convenuto che, a fini fiscali, gli utili delle imprese associate possono essere rettificati nella misura necessaria a correggere tali distorsioni e ad assicurare che il principio di libera concorrenza sia soddisfatto.

Nella stessa sentenza n. 15906/2021, i giudici di legittimità affrontano anche il problema della ripartizione dell’onere della prova tra contribuente e Amministrazione finanziaria, individuandone perimetro e ampiezza. In particolare, la Suprema Corte veniva adita dall’Agenzia delle entrate dopo che la Commissione tributaria regionale aveva respinto il ricorso proposto avverso la sentenza a lei sfavorevole pronunziata dal giudice di primae curae.

La Suprema Corte, nel confermare la correttezza della sentenza d’appello, precisava che l’Autorità finanziaria non si può esimere dal dimostrare l’esistenza di transazioni economiche, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale. Una generica contestazione, non adeguatamente circostanziata in ordine all’inferiorità di tale corrispettivo, così come rilevato nel caso in contestazione e poi avvalorato dalla Commissione tributaria regionale, non consente l’applicazione del principio di vicinanza della prova e dunque l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

I giudici della Corte di Cassazione ribadiscono quindi, che solo a seguito di tale prova fornita dall’Amministrazione finanziaria, spetta al contribuente l’onere di provare che la transazione sia avvenuta in conformità ai normali valori di mercato.