SMART WORKING E I RISCHI DI CONFIGURAZIONE DI UNA STABILE ORGANIZZAZIONE

Il progressivo affermarsi del fenomeno della digitalizzazione delle imprese ha portato a un sempre maggiore utilizzo della modalità di smart working per lo svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei lavoratori e/o collaboratori, rendendosi necessario procedere ad un’attenta valutazione di tutti i rischi connessi alla possibile configurazione di una stabile organizzazione di un’impresa estera sul territorio italiano o, viceversa, a una stabile organizzazione di un’impresa italiana sul territorio estero.

Il rischio che possa configurarsi una stabile organizzazione è emerso a seguito della pubblicazione di alcuni documenti da parte dell’OCSE e alcune risposte ad interpelli proposti dai contribuenti all’Agenzia delle entrate.

Stante la progressiva affermazione della tecnologia l’OCSE nella versione del Modello OCSE aggiornata al 2017 ha introdotto il concetto di “home office”. Al fine di valutare se un “home office” possa o meno essere qualificata come una sede a disposizione dell’impresa occorrerà procedere ad un’attenta valutazione dei fatti e delle circostanze di ciascun caso.

Se lo svolgimento delle attività commerciali presso l’abitazione di un soggetto (ad esempio, un dipendente) è sporadico o incidentale non è possibile configurare una stabile organizzazione. Tuttavia, qualora un ufficio localizzato presso l’abitazione del dipendente dovesse essere utilizzato in modo continuativo per lo svolgimento di attività commerciali per conto di un’impresa ed è desumibile dai fatti e dalle circostanze che l’impresa ha richiesto al dipendente di utilizzare quella sede per svolgere l’attività commerciale dell’impresa stessa (ad esempio, non fornendo un ufficio a un dipendente in casi in cui per natura dell’attività svolta è invece necessario che ci sia un ufficio), l’”home office” potrebbe essere considerata una stabile organizzazione.

Nel caso in cui venisse accertata la presenza della stabile organizzazione occulta (a seconda dei casi in Italia o in un paese estero), deve essere risolto il problema della corretta imputazione del reddito prodotto dalla stabile organizzazione da imputare all’azienda “datrice di lavoro”, che deve essere determinato secondo i canoni dell’art. 7 del modello OCSE e dall’art. 152 comma 2 del TUIR. Il datore di lavoro (residente in Italia o all’estero) sarebbe chiamato a versare imposte e sanzioni sul maggior reddito accertato, mentre il lavoratore non avrebbe impatti diretti ma potrebbe subire conseguenze indirette come la cessazione del lavoro da remoto, la riallocazione etc.

I paragrafi 18 e 19 del Commentario all’art. 5 del Modello di Convenzione OCSE individua alcune condizioni necessarie per la sussistenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato:

• la “disponibilità” della casa di abitazione dell’impresa localizzata nell’altro Stato;

• il carattere continuativo dell’utilizzo di tale luogo;

• lo svolgimento di attività rientrante nel core business della casa madre.

In merito al primo requisito, questo, non può da solo essere utile ad affermare o escludere la presenza di un controllo da parte dell’impresa estera, stante la progressiva affermazione di professioni svincolate dalla necessarietà di un ufficio in senso tecnico. Alcuni degli indizi che, combinati ad altri elementi, potrebbero far propendere per un possibile controllo dell’esistenza di una stabile organizzazione potrebbero essere:

• corrispettivo erogato al lavoratore a titolo di affitto di una stanza;

• rimborso da parte del datore di lavoro delle spese sostenute dal lavoratore (arredo dell’ufficio e attrezzatura informatica, luce, connessione internet, ecc.) per l’utilizzo dell’abitazione;

• segni esteriori dell’attività aziendale – quali, ad esempio, cancelleria, lettere intestate, timbri, cartelli esterni l’abitazione, conto corrente nazionale.

Al fine di prevenire e ridurre il rischio di contestazioni da parte delle Amministrazioni finanziarie, potrebbe essere utile che le parti mediante un apposito accordo definiscano in maniera precisa l’ambito e i limiti dell’attività lavorativa in smart working. In particolare:

• il trasferimento del lavoratore in uno Stato diverso da quello in cui è localizzata l’azienda dovrebbe trovare fondamento in motivazioni di carattere personale e non nell’interesse di espansione dell’impresa sul mercato estero;

• nessun corrispettivo o rimborso dovrebbe essere previsto per l’utilizzo degli spazi utilizzati come ufficio o per le spese sostenute;

• va individuata la facoltà per il lavoratore di rientrare presso la propria azienda, seppur con una percentuale di presenza inferiore rispetto a quella di smart working.

In relazione a quanto sin qui evidenziato, emerge come in presenza di alcuni requisiti, l’attività di lavoro effettuata in modalità smart working può concretizzare una stabile organizzazione nel Paese di residenza del lavoratore. È importante notare che le regole e i criteri per stabilire l’esistenza di una stabile organizzazione variano da Paese a Paese e possono essere oggetto di diverse interpretazioni. Sebbene a oggi non esista una prassi italiana consolidata specifica, è bene cercare di prevenire i rischi di eventuali contestazioni in merito ad una possibile stabile organizzazione, articolando in modo congruo le modalità oggettive di svolgimento dell’attività ed i rapporti contrattuali e organizzativi con il lavoratore.

Lo Studio STS Legal è a disposizione della clientela per supportarla nell’analisi, nella verifica e nella risoluzione delle possibili problematiche in merito all’utilizzo della modalità di smart working per lo svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei lavoratori e/o collaboratori.