Due recenti pronunce dei Tribunali di Brescia e Pescara offrono spunti rilevanti sul funzionamento delle misure protettive nel contesto della composizione negoziata della crisi. Mentre il primo valorizza l’estensione delle tutele anche ai garanti, il secondo pone un freno in presenza di piani ritenuti ancora troppo deboli. Vediamo nel dettaglio.
La composizione negoziata della crisi è uno strumento introdotto dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza utile a risanare le aziende in crisi, aiutando le stesse a prevenire l’insolvenza. Il procedimento si attiva attraverso una piattaforma telematica nazionale, nella quale l’imprenditore deve depositare un Piano di risanamento, e prevede il coinvolgimento di un Esperto indipendente che assiste l’imprenditore nelle trattative con i creditori- Durante questa fase, l’imprenditore può chiedere al Tribunale l’applicazione di misure protettive a tutela del patrimonio aziendale.
Con l’ordinanza del 17 aprile 2025, il Tribunale di Brescia ha fornito un’importante interpretazione estensiva degli artt. 18 e 19 del CCII, in merito all’oggetto e al contenuto delle misure protettive nella composizione negoziata. La decisione estende tali misure anche ai terzi garanti in quanto coobbligati in solido con la società debitrice per le medesime posizioni debitorie oggetto della composizione negoziata. In mancanza di tale decisione, i creditori avrebbero infatti potuto agire simultaneamente nei confronti del debitore principale e dei garanti, pregiudicando l’intera composizione negoziata. Il Tribunale ha ritenuto fondate le condizioni per la conferma delle misure già pubblicate nel Registro delle Imprese, non solo a favore della società debitrice, ma anche dei garanti, valorizzando la presenza di prospettive concrete di risanamento e un parere positivo dell’esperto indipendente. La proroga di 120 giorni delle misure protettive ha incluso: il divieto di nuovi diritti di prelazione, l’inibizione di azioni esecutive e cautelari, il blocco di sentenze dichiarative di liquidazione giudiziale e la salvaguardia dei contratti pendenti.
Sul fronte opposto si pone il provvedimento del Tribunale di Pescara del 14 maggio 2025, che ha negato la conferma delle misure protettive, in un caso in cui l’esito del test pratico di autodiagnosi (strumento previsto dalla piattaforma telematica ex art. 13 CCII) non evidenziava una sufficiente perseguibilità del risanamento.
L’imprenditore aveva indicato un indice pari a 2,84, compatibile con la fascia in cui il risanamento dipende dall’efficacia delle iniziative industriali. Tuttavia, il ricalcolo dell’Esperto ha collocato l’impresa in una classe di rischio molto elevata, prossima a quella che necessita di misure straordinarie (falcidie, nuova finanza o trasferimento aziendale). In assenza di un piano dettagliato e di impegni concreti da parte di soci o finanziatori, il Tribunale ha escluso il fumus boni iuris, rendendo superflua ogni ulteriore valutazione sul periculum in mora, e ha dichiarato inefficaci le misure protettive richieste.
Questi due orientamenti offrono un quadro composito: da un lato una lettura evolutiva e funzionale delle misure protettive; dall’altro un approccio rigoroso e tecnico, fondato sulla sostenibilità concreta del piano di risanamento.
In conclusione, la giurisprudenza recente dimostra come la composizione negoziata della crisi sia uno strumento flessibile, ma non privo di soglie tecniche e sostanziali da superare, soprattutto nella fase di richiesta delle misure protettive.
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