La sentenza della Suprema Corte di cassazione del 16 aprile 2024, n. 10204, si è occupata dell’interessante tematica del riconoscimento del credito d’imposta estero sui dividendi percepiti direttamente all’estero, al di fuori dell’attività d’impresa, da persone fisiche residenti, concludendo per la spettanza del richiamato credito d’imposta, ad eccezione del solo caso in cui la vigente convenzione pattizia con lo Stato della fonte ne precluda espressamente il riconoscimento o in assenza di un trattato contro le doppie imposizioni con lo Stato della fonte.
La Corte di cassazione, con la predetta sentenza, consolida il precedente orientamento già emerso con la sentenza n. 25698/2022, ricavandone il principio che: «Il credito per le imposte pagate all’estero sui dividendi percepiti da persone fisiche residenti, al di fuori del regime d’impresa, sia mediante ritenuta a titolo d’imposta o con analoga imposta sostitutiva, spetta quando la vigente convenzione contro le doppie imposizioni non consenta all’Italia di negare tale credito, in quanto la tassazione “secca” e/o sostitutiva non è avvenuta su richiesta del beneficiario, ma è obbligatoriamente prevista dalla normativa italiana».
L’art. 165, co. 1, del Tuir prevede che: «Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione». Quindi, la norma prevede che solo i redditi prodotti all’estero che confluiscono nel reddito complessivo e sono sottoposti a tassazione ordinaria Irpef possono beneficiare del credito d’imposta estero, escludendo quindi tutti i redditi prodotti all’estero che soggiacciono a imposte e/o ritenute sostitutive.
Infatti, l’art. 27, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 dispone che i dividendi sono tassati con l’applicazione della ritenuta d’imposta nella misura del 26%, operata dall’intermediario residente che interviene nella riscossione, al netto delle trattenute applicate nello Stato estero della fonte (c.d. “netto frontiera”), così come stabilito dal successivo comma 4-bis del citato art. 27. Nell’ulteriore ipotesi in cui la materiale riscossione degli utili distribuiti da soggetti non residenti non avvenga per il tramite di un intermediario residente (i.e. sostituto d’imposta), trova invece applicazione l’art. 18 del D.P.R. n. 917/1986 – T.U.I.R., il quale dispone che tali redditi devono essere assoggettati in Italia a un’imposta sostitutiva del 26%, da applicare all’utile distribuito dal soggetto non residente, considerato al lordo delle eventuali ritenute operate all’estero a titolo definitivo (c.d. “lordo frontiera”), atteso che il richiamato art. 18 non reca alcun riferimento al “netto frontiera”, così come, tra l’altro, precisato dall’Agenzia delle Entrate con la risposta a interpello del 21 aprile 2020, n. 111. Occorre inoltre considerare che, sebbene l’appena richiamato art. 18 del T.U.I.R. consenta al contribuente la possibilità di optare per la tassazione ordinaria, facendo concorrere al reddito complessivo anche i redditi di fonte estera, ciò è espressamente negato per i dividendi, in quanto il già menzionato art. 27, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 non consente la tassazione ordinaria degli utili di cui all’art. 44, comma 2, lett. a), ultimo periodo, del T.U.I.R., relativamente a partecipazioni in soggetti esteri, qualificate e non, la cui tassazione è stata uniformata dalla legge di bilancio 2018.
In conclusione, a parere di chi scrive, occorrerebbe un intervento strutturale sulle norme interne e pattizie per uniformare il trattamento fiscale dei dividendi in rassegna, ponendo così fine alle incomprensibili disparità che attualmente si registrano e che sono destinate ad alimentare sempre di più i contenziosi in materia, e precisamente:
Monica Dal Bianco